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Stipendi più alti e maggiore autonomia, solo così valorizziamo le ostetriche

Roma, 3 maggio - “Sulla denatalità come emergenza del Paese si sprecano fiumi d’inchiostro, eppure di interventi concreti se ne ve vedono ben pochi. Non si fa nulla, per esempio, per invertire il trend della chiusura di punti nascita, calati tra il 2019 e il 2022 da 475 a 434 (dati Agenas), mentre secondo l’ultimo annuario statistico del Ssn, negli ultimi dieci anni è stato chiuso ben un consultorio su dieci. Così come non si interviene per contrastare la carenza di oltre 8mila ostetriche”. È la denuncia che fa il Nursind in vista della Giornata internazionale dell’ostetrica del prossimo 5 maggio.
“Dispiace ci sia una sottovalutazione di fondo da parte delle istituzioni di questa figura professionale, centrale per la donna non solo durante la gravidanza, ma dall’età dello sviluppo alla menopausa – osserva Fausta Pileri, ostetrica e infermiera membro della direzione nazionale Nursind – Non solo, ma anche l’unica professionista che durante il parto prende in carico ben tre pazienti insieme: la mamma, il papà e il neonato”. 

Di qui la richiesta di una valorizzazione del suo ruolo: “Se non vogliamo allontanare sempre più i giovani da una delle più antiche professioni sanitarie, è necessario investire per garantire una crescita professionale e salariale all’ostetrica, oltre che riconoscerle una maggiore autonomia”.
Un tasto su cui insiste anche il segretario nazionale del Nursind, Andrea Bottega: “L’ostetrica è l’unica figura non medica cui è consentita, in base alla direttiva europea 36 del 2005 ratificata nel 2007 dal nostro governo, la prescrizione di esami legati alla gravidanza. Peccato che ancora non tutte le Regioni siano provviste di un nomenclatore tariffario e, quindi, che tali prestazioni non siano considerate dal punto di vista economico in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Un’occasione mancata - continua il segretario – anche per incidere sulle liste d’attesa, oltre che sui costi del Ssn, che sarebbero minori potenziando appunto l’autonomia in capo alle ostetriche”.

“Il Pnrr – concludono Bottega e Pileri – è un treno da non perdere. Per potenziare la medicina territoriale, infatti, non si può prescindere dall’ostetrica di famiglia. Che sarebbe un po’ un ritorno alle ostetriche condotte del passato. Un punto di riferimento sul territorio che, questo è il nostro auspicio, possa anche incidere positivamente sui parti non medicalizzati, avvicinando la soglia ancora alta dei cesarei a quel 10-15% fissato dall’Oms”.